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Da Federabitazione a Confcooperative Habitat.

Da Federabitazione a Confcooperative Habitat.

L'evoluzione del comparto cooperativo di Abitazione di Confcooperative spiegata dal presidente Alessandro Maggioni.

Categorie: Dalla Federazione

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«Inizio questa “non relazione” con l’immagine di un gatto semicieco e segnato dalla malattia perché, come sa chi mi ha ascoltato in questi anni, quando nel 2014 divenni presidente di Federabitazione, ho sempre usato una metafora rude, figlia della cultura hardboiled che tanto amo, per descrivere come mi sentivo. Mi sentivo come un veterinario che doveva prendersi cura di una covata di gattini ciechi con la rogna. 

Questo pareva essere Federabitazione; una federazione che da essere uno dei capisaldi della storia di Confcooperative era diventato un ambito problematico, provato da una crisi di settore mai vista e da un’altrettanto violenta crisi di ideali. I numeri sono chiari; non necessitano di molti commenti. Il confronto secco tra i dati del 2017 e quelli del 2013 (che già risentivano di un pesante ridimensionamento) sono, per l’appunto, spietati. 

Un cooperatore però non può fermarsi né ai numeri, né alla nostalgia. Un cooperatore ha il dovere della passione.  Per questo riparto dalla storica immagine che immortala i gloriosi Probi Pionieri di Rochdale, i padri fondatori della cooperazione.  Il 21 dicembre del 1844 questi visionari crearono la “Rochdale equitable pioneers society”, la prima cooperativa di consumo costituita per contrastare la scorretta e truffaldina concorrenza degli esercenti privati, caratterizzandosi per la qualità dei prodotti commercializzati e per i bassi prezzi applicati, come esito del processo mutualistico. Insieme a loro cito anche altri fondatori, i contadini che nel 1933 diedero vita a una nostra cooperativa vitivinicola, la cooperativa “San Donaci”, che vidi in una fotografia su una cassetta di vino donatami dal presidente Marco Pagano. Sono entrambe immagini emozionanti, di uomini ritratti in posa, pieni di orgoglio per il loro lavoro. Né i Probi Pionieri di Rochdale, né i probi pionieri di San Donaci, in quei momenti lontani nel tempo pensavano ai “freddi numeri”. Pensavano alla cooperazione come a uno strumento di emancipazione personale e di intrapresa economica alternativa ai modelli consolidati. Mettendoci passione, sudore e impegno. Creando imprese e modelli imprenditoriali universali e centenari. Ecco, forse dovremmo tornare più spesso a queste fonti, abbeverandoci ai principi della cooperazione che non vanno solo citati (spesso a sproposito), ma conosciuti e messi in pratica. 

È tempo di tornare a essere radicali nell’approccio; perché essere radicali significa tornare alle radici e a quei principi sempre attuali. In questi anni ci siamo impegnati, nel nostro ambito, a essere – tornando ancorati alla metafora iniziale - dei buoni veterinari. Per “curare la rogna” e per richiamare tutti al rispetto rigoroso dei principi cooperativi in campo abitativo abbiamo portato a termine l’impegnativo lavoro di definizione del “Rating e regolamento mutualistico” delle cooperative di abitazione. Non si tratta di un codice etico, che rimanda a solenni dichiarazioni di moralità spesso astratte e solo enunciate, ma di un sistema minuto di regole e prassi che da un lato consentono di individuare con immediatezza i fondamentali punti che distinguono una vera cooperativa da una falsa e, dall’altro, di tratteggiare un nerbo formativo di regole che possono fare ripartire – sui territori – la promozione di cooperative autentiche. Grazie al rating abbiamo potuto espellere, in situazioni critiche, cooperative distanti da tali principi. 

Per “curare la cecità”, invece, servono visioni di lungo periodo. Per questo, partendo dal alcune riflessioni connesse allo stato della nostra società e dei bisogni espressi o latenti, abbiamo avviato un percorso – dapprima con Federsolidarietà e poi con Confcooperative – che ci ha portato ad ampliare la visione del nostro fine mutualistico. L’oggetto non è più la sola casa e i suoi abitanti, bensì la città e il territorio. Siamo orgogliosi del fatto che in questo percorso ci ha affiancato, con generosità e passione travolgenti, una figura del calibro di Giancarlo Consonni , professore di Urbanistica del Politecnico di Milano, che, elaborando per noi e con noi la “Carta dell’Habitat”, ci ha guidato con profondità, prospettiva culturale e rigore metodologico nel passaggio da Federabitazione a Confcooperative Habitat. Perché non esiste processo riorganizzativo senza fondamenti indentitari e culturali. La Carta dell’Habitat, urge rammentarlo, è un decalogo profondo che ci impegna a mutare definitivamente il nostro approccio alla trasformazione urbana e territoriale. Uno spartiacque definitivo che ci proietta in una dimensione che o è radicale, o non è. Un documento fondativo che non può essere citato se non praticato. Insomma, mi preme ricordare a tutti noi cooperatori che – con questo passaggio e con l’adozione in statuto della nuova Confcooperative Habitat della “Carta dell’Habitat” e del rating mutualistico – finisce per noi un’epoca e inizia una nuova fase della cooperazione urbana e di territorio.  

In questo senso ho pensato di esemplificare, con alcune immagini, le cose da combattere – i mostri sempre in agguato – e le cose da fare, studiare, sostenere e replicare. Le cose da combattere. La costruzione di banali e spaesanti “palazzine” non può essere più tollerata. Dobbiamo sforzarci, in ogni contesto, di realizzare  case che – anche nella loro fisicità – rappresentino quei principi di qualità al giusto costo emblemi della cooperazione, distinguendosi anche nel linguaggio dall’impronta meramente immobiliaristica. Di pari passo va un accento critico su tutte le lottizzazioni urbanistiche che hanno, in nuce, i medesimi principi del "palazzinarismo". Urge recuperare un approccio progettuale che intrattenga con il contesto un rapporto di cura, apertura e cordialità. Non possiamo più pensare di essere attori di processi speculativi che intaccano il territorio e il tessuto urbano, replicando quartieri dormitorio privi di senso e di vitalità.  

Così come dobbiamo, infine, prenderci cura del territorio e – come scritto in uno dei punti della carta – della sua capacità riproduttiva. Il territorio è patrimonio intergenerazionale non replicabile. Il dovere di un cooperatore è quello di guardare prima l’interesse generale della comunità di riferimento e poi quello della cooperativa. Se un’operazione ha senso per la cooperativa ma non per la collettività, la si abbandona. Senza indugi. 

E’ fondamentale rammentare anche le “cose da fare”. Esempi buoni da perseguire, restando fedeli alla nostra specifica natura di imprenditori ontologicamente “sociali”. Guardare a quartieri come quello di Mehr als wohnen, a Zurigo, dove si sperimentano nuove tipologie abitative in forma cooperativa e dove lo spazio pubblico innerva quello privato e viceversa.  Oppure non vedendo la strada come un mero contenitore del flusso di mobilità, ma coglierne tutte le possibilità generative di economie vitali e di relazionalità positiva.  O, infine, lavorando alla tessitura di una rete di cooperative di comunità che abbiano al loro centro la produzione di un’economia di territorio e il recupero di una dimensione abitativa laddove pare esservi abbandono.  

Ecco, dunque, le tracce di lavoro di Confcooperative Habitat per il prossimo quadriennio: Common Housing TM nei tessuti urbani consolidati, realizzando secondo i principi del rating e della carta presidi mutualistici di qualità e – nelle aree interne – cooperative di comunità che abbiano come codice Ateco di specificazione della propria attività il codice 83.10.10, ossia la “cura del paesaggio”. Ciò cercando di capitalizzare le grandi e fresche energie che, grazie all’ormai decennale concorso di AAAarchitetticercasi, abbiamo intercettato. Dalla commistione tra la nostra lunga esperienza e giovani di talento possono nascere grandi cose. Come, in alcuni casi, già sta accadendo.  

Per quanto riguarda l’Alleanza Cooperativa Italiana nel settore abitativo segnalo un positivo e continuo confronto che ha portato a risultati tangibili come, ad esempio, l’elaborazione del “Codice di qualità mutualistica” delle cooperative di abitanti, declinazione unitaria tra Confcooperative Habitat e Legacoop abitanti di condivisi principi desunti dal rating mutualistico. Ma anche per l’ACI penso si debba guardare alle nostre origini. Nel mio ufficio ho un’immagine storica – penso di fine ‘800 – di una cooperativa di Cinisello Balsamo in cui i cooperatori, con fierezza, eleganza e orgoglio, si fanno ritrarre con due icone in prima fila: a destra Karl Marx e a sinistra Gesù Cristo. Due simboli che segnavano allora un’identità robusta, pregna di ideali e di un’ideologia che – forse – in quest’epoca, andrebbe un po’ riscoperta. Anche in questo caso penso quanto più l’ACI parlerà di principi fondanti e di ideali cooperativi da tradurre in prassi, tanto più potrà pensare di avere successo. Se resterà una discussione basata su astratti e freddi principi organizzativi, tesi principalmente alla necessaria ma non fertile dimensione gestionale, non sarà semplice far nascere qualcosa di buono e duraturo. 

Insomma, se vogliamo rilanciare il nostro settore in una nuova prospettiva, non abbiamo davanti un percorso in pianura e ben illuminato. Abbiamo davanti una sfida difficile, con avversari potenti e falsi amici subdoli che invadono strumentalmente il nostro campo d’azione. Come abbiamo visto, la cooperazione non è cosa per "mammolette". La cooperazione è roba per donne e uomini attrezzati alla sfida, permeati di passione e non di avidità; persone che sanno di fare qualcosa buono per loro, per chi sta loro intorno e per chi verrà dopo di loro

La cooperazione è una sfida quotidiana che, anche in questo periodo che pare “freddo e oscuro”, può tenere accesa la fiaccola di un’alternativa possibile al pensiero unico dominante. In tal senso voglio concludere questa mia relazione leggendo alcune frasi di quel libro folgorante e illuminante che è “Realismo Capitalista”, scritto da Mark Fisher. 

“La licenza (alla libertà) senza limiti porta all’infelicità e alla disaffezione” dice Fisher; per questo “un qualche tipo di razionamento sarà in ogni caso inevitabile: il nodo diventa allora se queste limitazioni verranno gestite collettivamente o se verranno imposte con mezzi autoritari quando sarà già troppo tardi. […]  La lunga e tenebrosa notte della fine della storia va presa come un’opportunità enorme. La stessa opprimente pervasività del realismo capitalista significa che persino il più piccolo barlume di una possibile alternativa politica ed economica può produrre effetti sproporzionatamente grandi. Da una situazione in cui nulla può accadere, tutto di colpo torna possibile.” 

E noi cooperatori abbiamo il dovere di far sì che questa possibilità, attraverso l’impresa mutualistica, possa diventare realtà.» 

 

Da Federabitazione a Confcooperative Habitat. Visioni del reale”.

Relazione all'assemblea nazionale del 20 giugno 2018. 

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